La luna

Il nonno mi chiedeva se la luna di Padova fosse la stessa della nostra campagna.
Io, piccolo, accucciato in quella Topolino nera, mi azzardavo a dirgli di sì.
La storia della luna era iniziata alla periferia di Padova, una strada costeggiava uno specchio d'acqua, c'è ancora, identico anche il paesaggio. Andando in centro, una sera d'inverno, non so perché, fermi ai margini di questo laghetto, guardavamo la luna che si rifletteva nell'acqua ferma. Mandava un bagliore che con gli anni, nella mia testa, è divenuto un faro che usciva dall'acqua in mezzo al nero della notte.
"Ea vedito quea luna là?" 
"Sì nono, che bëa"
"Questa ea ze ea luna de Padoa, zëa ea stessa che ghe ze da niantri?"
"Sì, par forsa"
"Ma che dimanda dificie che te ghe fe al me putin" ribatté la nonna, indispettita e offesa, ma in cuor suo raggiante per la perspicacia della mia risposta.
Lui, il nonno, sorrideva certo e andava altrettanto fiero di me, il piccolo poeta bravo.
Credo mi abbiano comperato un giocattolo da bambini di città: il Meccano.

Il nonno mi piaceva

Il nonno era simpatico. Rideva e faceva ridere.
Amava la pesca e, ne sono certo, avrebbe voluto che l'amassi anch'io. Andava a pescare, faceva tardi, litigava con la nonna. Non gridava, si girava rassegnato e borbottava, sorridendomi. Non l'ho mai sentito imprecare, bestemmiare. Mio padre bestemmiava, era un grande ricercatore di bestemmie colorite e stravaganti. Forse alla ricerca di bestie strane da associare a dio. Un Dio al quale, di sicuro, non importava nulla delle bestemmie di mio padre.
Il nonno mi portava a pescare, forse con una Fiat Topolino, lungo strade polverose e deserte. Mi dovevo precipitare da argini sovraccarichi di erbe schifose. Non toccavo i pesci, neppure quei rarissimi disgraziati perditempo che, per noia o stupidità, abboccavano alle mie esche.
Prendevo qualche "Pesce Sole" io, mai nulla di più serio, un disastro per il nonno. Ma neppure lui aveva successo, ma almeno lui li "perdeva", o, perlomeno, così raccontava. I pescegatto si mangiavamo, la nonna li preparava fritti, con la pancia gialla sventrata. Un po' come i merli o gli stornelli, davvero cattivi, che venivano cotti al forno con dei micro bocconcini di pancetta. Mangiavo la testa di quelle piccole prede. Masticavo, con i miei dentini, le ossa alla ricerca del sapore delle cervella. Nessuno ci faceva caso, al contrario, per il nonno, ero io che dovevo godermi quei bocconi.
Avevo poco meno di ventisei anni quando il nonno è morto.

Nonni

I nonni, con cui vivevo, erano amorevoli. In tutto.
Il nonno era di origini artigiane, tutti artigiani i suoi antenati, costruivano case.
Anche il nonno costruiva case. Aveva costruito anche la chiesa del paese, ne andava fiero. Forse c'erano delle foto da qualche parte. Ne avevo vista una, da piccolo, era sopra il tetto proprio di quella chiesa. Ma ora lo immagino su una trave, sospesa, in legno, ma é la stessa situazione ritratta in una fortunata immagine, realizzata a New York.
Il nonno mi assomigliava.
Era grasso e bonario, ma disponibile e taciturno, in questo non mi assomigliava.
Quando si stancava di sentirmi argomentare mi rimproverava dicendomi che da grande avrei fatto "il poeta". Che bello, quando mi diceva così ero contento, mi piaceva già da ragazzo la poesia. Il nonno, invece, conservava nel cassetto del comodino da notte le favole dei Fratelli Grimm.
Teneva anche la dentiera, rosa, in un bicchiere d'acqua.
Rivedo quella camera da letto, la mia camera e la loro, dormivo con loro. Ricordo, stranamente solo sole, mai momenti grigi, ricordi grigi, neppure quando dovevo chiare aiuto perché mi ero fatto la pipì addosso. Com'era bello e piacevole sentire il caldo naturale della trapunta imbottita e splendida della nonna. Come era bella quella coperta, anche quella ricordo perfettamente: losanghe trapuntate, era ancora il rosa il colore che dominava.
Gli scuri erano in legno, quattro parti, verde scuro. Quando al mattino erano socchiusi entrava il sole, i raggi, invariabilmente, facevano brillare lunghe fasce di pulviscolo, animato. Io mi coprivo anche d'estate, non amavo soffermarmi su quelle cose, vive e un po' paurose.

Quel paese

In quel paese della Bassa l'asfalto non era ancora steso.
Io ho un ricordo ben chiaro di un nastro nero, dove prima c'era solo polvere. Mi sembrava sconfinata e larghissima, quella strada nera.
Io ci correvo sopra, con la bicicletta, o, per meglio dire, mi divertivo a zigzagare. Quello che mi é lucido nella memoria é la felicità.
Sicuramente un ricordo molto bello. La felicità non é cosa semplice, non lo é mai stato. Eppure ho ricordo bello e mi piace partire da questo.
C'era anche il sole, quel giorno. Forse il nero di un temporale in lontananza, utile per contrastare quell'arco di rose canine fucsia, si stagliava verso il Garda.
Da lì arrivavano i temporali più devastanti. Portavano grandine, talvolta. La nonna piangeva quando la grandine distruggeva quella vigna con cui ricavava, lei che era una di origine contadina, un vino pessimo...  

Piccole cose

Voglio raccontare qualcosa di me, del mio passato, della mia vita.
Non é semplice iniziare a scrivere, forse sarà una cosa lunga, a tratti noiosa. Vi sto scrivendo durante un corso di aggiornamento che non ho voglia di seguire.
Oggi è coperto anche il tempo, un po' come me. Credo che se un pittore mi dovesse ritrarre forse userebbe il grigio.
Eppure mi sento gioioso o, per lo meno, desideroso di espormi, di raccontarvi di me.
Vorrei costruire una raccolta di ricordi del mio passato connettendoli al mio presente.
Non sempre sarà agevole né immediato comprendere, a volte bisognerà ascoltare o rileggere.

Il nonno

Non ricordo il nonno "giovane". Il suo viso è sempre lo stesso: pochissimi capelli abbastanza lunghi, grigi e leggerissimi. Se dovessi descrivere un filo leggero e inconsistente penserei ai capelli del nonno. Lo accarezzavo, mi piaceva sentire il contatto con quei pochi fili bianchi. Sento ancora il piacere e la sicurezza che quel tocco mi trasmettevano.

Non aveva mai la barba ben fatta, qua e là spuntava un pelo dimenticato, bianco. Era ben grassottello, un idolo, anche se non ricordo dialoghi importanti. Lui mi vedeva crescere, e ne orgoglioso.

La vasca da bagno, in casa, fu un evento. Fui il primo ad utilizzarla, non dovevo essere piccolissimo, il nonno, con la mamma, mi guardava sguazzare e fare apprezzamenti sulla mia crescita.

Quel benedetto "servizio".

Non ricordo tensioni. Tutto scorreva, tra le miserie della vita dei grandi, per me, in modo sereno.

Non sentivo le loro preoccupazioni, le loro ansie, le loro paure.

Il papà, in quegli anni non c'era, non era presente nella mia vita. A quell'epoca poteva avere non più di trentacinque anni. Non lo ricordo affatto giovane. Non poteva essere giovane.